Come legge Google i nostri contenuti? Come l’Intelligenza artificiale sta cambiando la ricerca dei nostri post? Un mondo in evoluzione che sta portando a nuove tecniche di scrittura dei post.  Ferdinando Dagostino, Web Manager & Founder SaidiSEO risponde ai nostri dubbi.


Quando si fa un sito, la prima cosa che si chiede al professionista è di fare in modo che in una ricerca rientri nelle prime pagine di Google. Si sa che questa strana lingua SEO, (Search Engine Optimization), serve nella scrittura di un testo per essere trovati sul web, ma la SEO riguarda anche il backend del sito che i vari professionisti usano nelle loro programmazioni.

La tecnologia avanza, Google usa l’intelligenza artificiale per individuare e comprende sempre di più i contenuti e soddisfare le query che noi utenti chiediamo al motore di ricerca. Con Ferdinando, Web Manager capiremo se dobbiamo davvero stravolgere il nostro modo di scrivere per essere trovati dagli algoritmi dell’IA di Google? 

Intervista a Ferdinando Dagostino

Come è cambiato nel tempo l’algoritmo di Google?

Gli algoritmi sono cambiati così tante volte che si è smesso di contarli. Siamo partiti da 10 algoritmi di ragionamento per la  “search”. Poi sono stati creati due insiemi di algoritmi: Google Panda e Google Panguin per suddividere tutti gli algoritmi che ragionavano per posizionare da quelli che servivano a penalizzare.
Si sono quindi definite quelle che ancora oggi chiamiamo suite. Ogni suite comprende diversi algoritmi con diversi update. Ognuno con una funzione che ha cominciato a connettersi all’altra.
Ecco, da questo punto la SEO ha smesso di essere argomento principe solo della SEMANTICA. Ovvero di tutto ciò che viene legato alle parole.
Dal momento che si sono fatte connessioni complesse di logiche algoritmiche, Google ha introdotto altri fattori di valutazione che leggessero la User Experience. Nuove suite, nuovi algoritmi, fino a quelli nuovi che ad oggi governano la suite principale: Rank Brain e l’intelligenza artificiale.

Cosa fa l’IA dei nuovi algoritmi di Google

Partiamo dalla definizione. La definizione più chiara e semplice è quella data da Google durante l’ufficializzazione di Rank Brain nel 2018: “Un algoritmo è in grado di analizzare i risultati già presenti sul web, elaborarli successivamente, per poi fornirne di nuovi più aggiornati, perché appunto è in grado di “imparare”.”
Ad oggi siamo ancora nella fase di monitoraggio, registrazione e indicizzazione dei dati. Nelle fasi utle alla definizione di statistiche predittive e statistiche personalizzate.
Quindi siamo ancora nella Machine Learning. E non è poco, sia chiaro. Considerando che esistono 4 fasi dell’IA: Macchine reattive che imparano. Macchine a memorIa limitata e illimitata che ragionano e si basano sul passato. Dopodichè si procede alla fase di teoria della mente e autocoscienza.
Ecco…nei 4 livelli di un AI siamo già alle Macchine reattive con cenni di memoria limitata. Quindi copriamo almeno i due primi livelli.

Fino ad ora i bold, le liste, i paragrafi, le keyword, hanno avuto un certo peso nel farsi trovare da Google e leggere dall’utente. Cosa è cambiato per i content creator con il nuovo algoritmo?

Bella questa domanda. Torniamo alla semantica dichiarando che anche nel content non è più solo quello. Userò una parola già abusata, ovvero Storytelling. Abusata ma non ancora capita del tutto. Siamo solo all’inizio di quello che è davvero un nuovo lavoro di adattamento dello storytelling dal testo di un sito allo script di un video. Bold, strong (le parole chiave), le liste, i paragrafi e kwds. Tutto ancora valido – tranne le meta kwds che non fanno più posizionamento –  con gli ovvi nuovi aggiornamenti. Sicuramente ancora più severi sulla kwds staffing (utilizzo esagerato delle kwds) e sulla costruzione degli snippet (quello che scriviamo nel box che contiene, al suo interno, un titolo, un link ed una breve descrizione ed è la prima cosa che viene vista quando si fa una ricerca su Google). Occhio poi alle immagini, all’attributo ALT e all’importanza delle stop words.

Se ho un testo ben scritto e un contenitore (sito) poco SEO oriented, il testo viene visto lo stesso da Google?

Cosa farebbe Schumacher su una cinquecento? La qualità della sua guida resta indiscussa ma nessuno potrebbe validarla con certezza perché limitati dal mezzo che contiene quel talento. E sicuramente non vincerebbe un GP. Il contenuto e il sito ragionano con la stessa logica.

Il valore dell’URL, come lo interpreta Google?

Sempre alto. Evitare url troppo lunghe e dinamiche. Evitare i caratteri speciali e personalizzare gli slug (i nomi dell’url) in modo che Google possa leggerli semplicemente e con pertinenza alla parola chiave della pagina di destinazione. Considerate che l’url è il sussurro. Una sorta di suggerimento all’orecchio di Google con il quale anticipiamo l’argomento che poi troverà nella pagine stessa.

Qualche consiglio?

Non spaventatevi. La SEO è in continuo cambiamento e sicuramente avere una identità sul web deve essere un lavoro coordinato e strategico. Identità, contenuto, forma e fiducia. Questi sono i 4 pilastri che cerca l’utente e quindi Google.
Ma ricordate anche che senza una identità professionale e intellettuale fuori dal mondo virtuale niente si produce nel mondo universale della rete. Libri, biblioteche, persone, la cultura greca, i filosofi, gli psicologi, i creativi, i folli, i pittori.
Fuori dalla rete c’è già il Network per diventare essere migliori e connessi. Se mi chiedi cosa c’è di meglio delle macchine pensanti, non posso risponderti altro che noi esseri umani.
Capiamo che la SEO e la rete sono il mezzo. Lavoriamo fuori, costruiamo la migliore redazione di professionisti con i quali condividere un progetto e poi portiamolo nella rete. E’ una costruzione che vuole professionisti del settore e consulenti consapevoli.

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Chi è Ferdinando Dagostino